Ieri sera, domenica 11 aprile, è andata in onda una nuova puntata di Che tempo che fa. Uno dei momenti più importanti della serata è stato quello del monologo di Luciana Littizzetto sul catcalling, il termine inglese impiegato per definire le molestie subite dalle donne in strada. La Littizzetto ha tratto spunto dalla denuncia sui social di Aurora Ramazzotti, le cui parole hanno suscitato grande clamore in rete, entrando persino nel dibattito politico.

Cos’è il catcalling

Il catcalling è un sostantivo di origine inglese, nato dalla fusione delle parole cat (gatto) e calling (chiamata). In italiano ha assunto però tutt’altro significato, tant’è che con catcalling ci si riferisce all’usanza da parte degli uomini di rivolgere apprezzamenti disdicevoli a una ragazza mentre passeggia da sola in strada. Tali apprezzamenti sconfinano nella maggior parte dei casi in vere e proprie molestie verbali.

Per spiegare meglio il significato di catcalling, ecco l’esempio citato dalla nota comica a Che tempo che fa prima del suo monologo:

Il catcalling sarebbe quando tu donna, magari sei in strada, magari da sola, magari di sera, e magari c’è uno che ti grida: “Ciao bella, lo vuoi il mio c***o?” Questo è il catcalling, così sappiamo tutti esattamente cosa è.

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Il monologo di Luciana Littizzetto sul catcalling: la letterina al mentecat-caller

A seguire riportiamo il monologo integrale (altri siti ne riportano soltanto una piccola parte) di Luciana Littizzetto sul catcalling, pronunciato durante la puntata di ieri di Che tempo che fa:

“Caro cretino, fischiatore solitario, smanettatore di walter su panchina, vuvuzela fastidiosa, bavoso schifosone che mi gridi “ciao zoc**la”, mentre in pantaloncini corro al parco.

Cosa pensi, ammesso che pensi? Cioè, quale riunione ti fa credere che io ti risponda: “Ma grazie, ma come sei carino, quasi quasi te la do”. Cosa ti dice il tuo cervello, cioè quella palude di melma che sta nello spazio tra le tue orecchie? Qual è la sinapsi che fa partire la tua lingua, spiegami. Rendimi edotta, grandissimo minch**ne a sonagli, catalizzatore di tutti i miei vaffan.

Cosa speri, che strizzando tra le mani quel poco che tieni tra i pantaloni io di colpo mi butti ai tuoi piedi gridando sono tua? Che se fischi e urli io dica: “Che complimento di alta caratura, questo è l’uomo della mia vita, hashtag #cretinodiuncretino?

Ma quanto devi essere disperato per comportarti così. E poi, chi te l’ha insegnato, non credo tua madre. E dubito fortemente che tu l’abbia imparato dai libri.

Forse tu non lo sai, ma Renzo su quel ramo del lago di Como non ha abbordato Lucia urlandole “Ti sba**o come un polpo”. E Romeo sotto il balcone di Giulietta le bisbiglia parole d’amore, non le grida “Minc**a che zinne Giuli”. Leopardi non diceva “membri” a Silvia, diceva “rimembri”.

Ma nemmeno nei film. Persino la Bestia alla Bella non si permette di dire “Ammazza che pop*e”. Ti ricordo che alla fine di Via col vento è Rossella che dice “Domani è un altro giorno”, non era Butler che urlava “Domani è un altro giorno e me la dai”.

E nelle canzoni uguali. Baglioni ha scritto “Questo piccolo grande amore”, non “Questo piccolo grande cu*o”.

E non dire: “Eh ma cosa sarà mai, ma quanto la fate lunga, è solo un complimento”. Se è solo un complimento, allora dillo alla tua fidanzata all’altare, vediamo come la prende. Prova quando il prete dice: “Vuoi tu Mimmo Catrama prendere in sposa…”, e tu aggiungi: “Chi, questa vacca?” a vedere come la prende tuo suocero.

E poi soprattutto, io non lo faccio con te. Io non passo il tempo per la strada a gridare: “Oh, bastano 100 euro”. Oppure: “Ce l’ha un nome il tuo merlo?”

E non mi dire “è sempre stato così”. Se l’hanno subito le nostre nonne e le nostre mamme, chi se ne frega. Noi non lo vogliamo più. Le nostre figlie non lo vogliono più. Io sono stanca di aver paura per colpa tua, sono stanca di essere in ansia se torno con l’ultimo treno, sono stanca di stare al cellulare con mia figlia quando torna tardi la sera fino a quando non apre la porta di casa, soprattutto perché parcheggia sempre lontano.

Quindi, per piacere, amico: la prossima volta che senti il bisogno di urlare schifezze, fallo rivolto alla luna. E se non sai tener ferma la lingua, lecca il muro. Cordialmente, io e tantissime altre donne italiane. Grazie.

Nel video qui sotto il video della letterina scritta da Luciana Littizzetto e indirizzata agli uomini che si macchiano di catcalling.